Le mie esperienze di insegnamento rilevano una certa coerenza legata a questa traiettoria artistica: dalla creazione di immagini focalizzate sulle forze dell’individualità e di una particolare visione dell’estetismo, alla trasmissione di questi spunti creativi; tutti i laboratori che ho condotto fanno fronte a questa necessità: stimolare presso l’altro un processo creativo che mira a far nascere o a far rivivere un’immagine gratificante di sé, a tirar fuori da se stessi cose insospettate. La creazione visiva genera un movimento di elevazione verso una consapevolezza potenziale.
Voler rendere l’inquadratura uno strumento che costruisce un legame sociale, significa introdurre un’iniziativa dialogica tra l’altro e noi stessi, tra il mondo e noi stessi. Alain Kerlan scrive, in maniera estremamente riuscita: « E’ soltanto impegnandosi nel raccontare se stessi che si costruisce progressivamente una coscienza di sé ».(1)
L’impiego della fotografia come mezzo di inclusione sociale è una pratica molto diffusa in America Latina, più in particolare in Brasile.
Nel 2004, il movimento di fotografi di Rio de Janeiro denominato Foto Rio, ha realizzato il primo incontro della città sull’inclusione visiva, con la partecipazione di undici progetti provenienti dalla città stessa e da altre regioni del Brasile. I progetti di inclusione visiva, spiega Milton Guran (antropologo, fotografo e fondatore di Foto Rio) « mirano a ricostituire l’autostima delle comunità, a fornire loro degli strumenti affinché possano vivere il proprio essere cittadini e valorizzare le proprie relazioni sociali, aprendo loro il cammino verso una visione fondata su quanto le comunità hanno di migliore ». (2)
« L’inclusione visiva, così come la pratica Milton Guran, peraltro risponde meno ad un intervento politico diretto, quanto più ad un intervento antropologico che rispetta i vissuti culturali. Essa si colloca nella quotidianità, e si accontenta in maniera esplicita di una poetica dell’ordinario e della banalità del quotidiano. Ciascuno viene semplicemente invitato a fotografare la propria famiglia, la propria casa, il quartiere o un evento significativo della propria giornata. Niente di eccezionale o di rivelatore in queste immagini delle favelas in quanto tali, ma ne traspare un valore comune, una qualità tranquilla che scorre tra le immagini senza ostentazione: la dignità. La dignità come virtù e fierezza modesta del proprio quotidiano. » (3)
1. 2. 3. Alain Kerlan, La photographie comme lien social (La fotografia come legame sociale) P.15 Collezione « Pôle photo » 2008. P. 21, 28, 31
« Il mio pensiero si rivolge a Dio per ogni giorno che ci concede. Ho fede. Non pratico, ma se Allah vuole, intendo praticare con l’aiuto di Dio.
So che esistono diversi paradisi, di cui sette: dal primo giorno per i più buoni, i più onesti, i più generosi, fino al settimo per i meno buoni, che non vuol dire egoisti, o cattivi. Dio sa perdonare, allora perché l’essere umano non perdona il suo prossimo?
Poi, ci sono i miscredenti che non credono esista un altro cielo, quindi penso che per loro il paradiso sia sulla terra. Ciascuno è libero di pensare, di vedere la vita come vuole, voglio che tutti abbiano libertà di espressione. Questa è la mia opinione. »
« La bellezza sarà di situazione, ovvero provvisoria e vissuta. »
« Al termine del laboratorio, mi abbracciano forte. Queste forze di luce fuoriuscite dall’ombra, giusto il tempo di una mattinata di maggio…dolore. »
Con questi partecipanti, il linguaggio della fotografia mi è parso sconvolgente, per alcuni il lavoro artistico si è rivelato essere un lavoro di chiarimento e di superamento.
Durante questa azione, la fotografia è divenuta una congiunzione tra il fuori e il dentro, al fine di avere la possibilità di osar dire, osare guardare dentro se stessi, e forse sfiorare una forma di riconciliazione con il proprio dolore.
Delle storie di vita che, se raccontante, permetterebbero di rendere visibili, di tenere a distanza e superare determinate esperienze, affinché questi non-detti o non-saputi possano essere dichiarati apertamente.
Si è pertanto concretizzato un incontro umano, che non avrebbe mai potuto esistere senza la mediazione artistica, senza il mezzo fotografico; ciò ha di fatto permesso che si realizzasse questo appassionato faccia a faccia tra degli individui incarcerati ed una donna libera.
« L’idea dei confini è stata rimossa, come sospesa. La macchina fotografica possiede questo potere, il potere di creare un incontro improbabile e sorprendente. »